Politica ambientale

Ambiente, le prime mosse di Trump confermano i timori

Gli U.S.A. continueranno a confermare i patti stabiliti?
Il presidente eletto ha nominato nel suo team il capo di un’associazione “contro l’allarmismo sul clima”. Gli USA si ritireranno dall’accordo di Parigi?
Il riscaldamento globale non è una minaccia grave, anzi forse non esiste, anzi è “un concetto creato da e per i cinesi allo scopo di rendere non competitiva l’industria manufatturiera degli Stati Uniti”. Donald Trump ha fatto capire chiaramente come la pensa sull’ambiente e i cambiamenti climatici (vedi anche l’articolo L’ambiente secondo Trump). E le sue prime scelte da presidente eletto confermano i timori di quanti prevedono un’inversione a U rispetto ai pur faticosi progressi in tema ambientale compiuti durante l’era Obama.

Nella squadra che gestirà la transizione alla Casa Bianca, Trump ha nominato Myron Ebell, un lobbista noto per le sue posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici. Ebell dirige il Center for Energy and Environment, un think-tank finanziato tra gli altri dal gigante dell’industria petrolifera ExxonMobil e dalla fondazione dei fratelli Koch, proprietari di un gruppo industriale più volte accusati di corruzione e spregio di ogni normativa ambientale. Ebell presiede anche la Cooler Heads Coalition (traducibile con “Coalizione delle menti fredde”), un gruppo di pressione che, recita il sito, “comprende più di due dozzine di associazioni non-profit americane e straniere che contestano l’allarmismo sul riscaldamento globale e si oppongono alle politiche di razionamento dell’energia”.

Raggiunto al telefono da nationalgeographic.com, Ebell dice di non poter fare dichiarazioni sul processo di transizione, né sulle future politiche ambientali dell’amministrazione Trump, ma aggiunge: “Il neopresidente ha fatto diverse promesse, in diverse occasioni, sull’energia e sul clima, e credo siano abbastanza chiare”.

Anche le posizioni di Ebell sono chiare, e contrastano con le conclusioni scientifiche raggiunte dalla grande maggioranza degli scienziati e dall’IPCC, il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. L’uomo scelto da Trump sostiene che il riscaldamento globale sia un fenomeno modesto, forse causato da attività umane ma in misura impossibile da stabilire. In ogni caso, i suoi effetti non si faranno sentire prima di un secolo o due: nel frattempo, bisogna garantire il più ampio accesso a tutte le fonti di energia esistenti, che siano rinnovabili o combustibili fossili. “L’eolico e il solare ci piacciono tanto”, sostiene, ma si oppone a ogni tipo di sussidi e di sgravi fiscali, compresi quelli che finora hanno incentivato il passaggio alle energie alternative.

Scienziati e associazioni ambientaliste criticano aspramente queste posizioni. “Una marcia indietro rispetto alle attuali politiche sull’energia solo per appagare gli interessi di pochi poteri forti sarebbe un disastro ambientale”, scrive il biologo marino Enric Sala, esploratore di National Geographic e fondatore del progetto Pristine Seas. “Causerebbe la morte di molte persone a causa dell’inquinamento e sarebbe il miglior regalo per la Cina, che lascerebbe indietro gli Stati Uniti per i decenni futuri. A soffrirne di più sarebbero solo i lavoratori americani”.

Bob Inglis, esponente del partito repubblicano e direttore di republicEn, un think-tank conservatore che non nega l’esistenza dei cambiamenti climatici di origine umana, è d’accordo con Sala: “Ebell avrà il suo quarto d’ora di notorietà, ma alla fine dovrà lasciare il palcoscenico sommerso dalle risate. Sarà una bella lezione”.

La sorte di Parigi

Per ironia della sorte, l’elezione di Trump è giunta proprio mentre a Marrakech è in corso la COP22, l’annuale conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici. L’anno scorso, in occasione della COP21,195 paesi avevano firmato l’accordo di Parigi, impegnandosi a ridurre le emissioni di gas serra: l’obiettivo è far sì che nel 2100 le temperature medie globali siano più alte di quelle dell’epoca pre-industriale di soli due gradi. Il trattato è entrato in vigore solo pochi giorni fa, e dovrebbe essere definitivamente ratificato dalla maggioranza prescritta (il 55 per cento dei firmatari che rappresentino almeno il 55 per cento delle emissioni globali).

L’Amministrazione Obama è stata tra i principali promotori dell’accordo, e si è impegnata a ridurre entro il 2025 le emissioni di gas serra del 30 per cento rispetto ai livelli del 2005. Ma in campagna elettorale, Trump ha detto espressamente di voler “cancellare” il trattato. Non è chiaro se intenda ritirarsi o semplicemente ignorare gli impegni presi: certo, se la promessa sarà mantenuta, oltre a causare un aumento delle emissioni e incoraggerà anche altri paesi a venir meno agli impegni presi.

“Ora che l’accordo di Parigi è entrato in vigore”, ha dichiarato Salaheddine Mezouar, presidente della COP22, “tutti i paesi firmatari, insieme ai governi regionali e agli attori non-statali, hanno la comune responsabilità di confermare i grandi progressi ottenuti finora. La questione del cambiamento climatico trascende i conflitti politici: riguarda la salvaguardia del nostro tenore di vita, della nostra dignità e dell’unico pianeta su cui viviamo insieme”.

Inglis non perde le speranze: secondo lui l’amministrazione Trump e il Congresso a guida repubblicana potrebbero ancora trovare il coraggio politico di agire per contrastare il cambiamento climatico. Secondo lui, il punto è convincere gli elettori che hanno votato Trump perché si sentivano emarginati. “Credo che dobbiamo rivolgerci alla gente che si sentiva con le spalle al muro, che temeva di essere oppressa dal potere dello Stato, e dire: ‘Ok, avete vinto. E ora, in tutta umiltà, veniamo da voi per salvare insieme la nostra casa comune’. Ci sarà sempre un Myron Ebell che grida che il cambiamento climatico non è un problema, ma dovrà gridare molto forte”.

Ulteriori informazioni: http://www.nationalgeographic.it/

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