Materiali radioattivi rilasciati dalla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi in seguito al disastro del 2011 si sono accumulati nelle sabbie e nelle acque salmastre sotterranee fino a una distanza di 100 chilometri dal sito. Le sabbie che hanno intrappolato il cesio radioattivo lo stanno ora lentamente rilasciando nell’oceano.
A scoprirlo è stato un gruppo di irercatori della Woods Hole Oceanographic Institution, negli Stati Uniti, e della Kanazawa University, in Giappone, che ne riferiscono in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
“Nessuno è esposto a queste acque o le beve, e quindi la salute pubblica non è di primaria importanza”, scrivono gli scienziati nello studio, ma “questo nuovo e imprevisto percorso di accumulo e rilascio di radionuclidi verso l’oceano dovrebbe essere preso in considerazione nella gestione delle zone costiere in cui si trovano centrali nucleari”.
Nelle settimane successive all’incidente, onde e maree hanno trasportato livelli elevati di cesio 137 radioattivo lungo la costa, dove il cesio è rimasto “bloccato” sulla superficie dei granelli di sabbia. Questa sabbia si è depositata sulle spiagge e ancor più sui fondali sabbiosi dove l’acqua dei fiumi e delle falde si mescola con l’acqua salata del mare.
Quanto più l’acqua è salata, però, tanto più facilmente il cesio riesce a staccarsi dalla sabbia. Così, quando onde e maree portano ulteriore acqua marina salata dell’oceano nell’acqua salmastra sotto le spiagge, parte del cesio si libera e viene portato nell’oceano.
I ricercatori hanno scoperto in particolare che i livelli di cesio nelle acque sotterranee erano fino a 10 volte superiori ai livelli che si riscontrano nell’acqua di mare all’interno del porto della centrale nucleare. Inoltre, la quantità totale di cesio conservata fino a un metro di profondità nelle sabbie è superiore a quella che si trova nei sedimenti marini al largo di quelle stesse spiagge.
“Ci sono 440 reattori nucleari operativi nel mondo, circa una metà dei quali è situata lungo le coste”, scrivono gli autori. Quindi questa fonte di contaminazione continua e persistente delle acque oceaniche costiere, precedentemente sconosciuta, “deve essere considerata nel monitoraggio delle centrali nucleari e negli scenari di possibili incidenti futuri”….http://www.lescienze.it